Immigrazione

Maysoon resta in carcere, ma al processo mostra le unghie e contesta ogni accusa

L'attivista curda accusata di essere una scafista si difende strenuamente alla prima udienza davanti al Tribunale di Crotone

Maysoon Majidi

CROTONE  – Resta in carcere Maysoon Majidi, l’attivista curda arrestata il 31 dicembre a Crotone dalla Guardia di finanza con l’accusa di essere la scafista di una imbarcazione che ha condotto in Italia 77 persone sbarcate in località Gabella. Lo ha deciso il collegio penale del Tribunale di Crotone a conclusione della prima udienza del processo svoltasi mercoledì 24 luglio. In udienza c’era anche Maysoon, apparsa molto provata dalla carcerazione che lei ritiene ingiusta. “Ho fatto 216 giorni di carcere ingiustamente” dice parlando con un’agente della Polizia penitenziaria. Debole fisicamente, ma donna molto forte che quasi si difende da sola facendo il lavoro del suo avvocato e, nelle dichiarazioni spontanee, contesta punto per punto le accuse mosse dal sostituto procuratore Maria Rosaria Multari.

“Io e mio fratello abbiamo fatto questo viaggio per salvarci la vita ed essere liberi in Europa” dice Maysoon. Si sfoga, parlando un po’ in italiano ed un po’ in farsi, nei dodici minuti di intervento in avvio di udienza. Sottolinea date, orari, località sostenendo che il pm ha sbagliato ad indicare i giorni della partenza e del viaggio: “Il 25 dicembre eravamo a Istanbul, siamo partiti il 26, a bordo di un camion, per andare ad Izmir e non il 25 come sostiene il pm. Non è vero quello che dice l’accusa che ci fossero messaggi sul suo cellulare del 25 dicembre. Il 26 siamo arrivati a Izmir con un camion. Il 27 dicembre siamo saliti sulla barca: una donna mi ha perquisito e mi ha preso il telefono. Lo hanno fatto anche con gli altri. Io e mio fratello e le altre persone eravamo seduti sottocoperta. Dopo 3 giorni io avevo il ciclo e mi sentivo male. Per questo volevo andare sopra, ed ho iniziato a litigare con la donna che aveva tutti i cellulari che mi diceva parole brutte brutte. A quel punto ho detto che quando saremo arrivati li avrei denunciati alla polizia italiana perché ci stavano maltrattando. Questo ha scatenato antipatia e odio nei miei confronti da parte di chi stava in coperta”.

Maysoon nel suo racconto ripete: “Il 29 ci hanno hanno fatto salire in coperta per farci respirare e io sono rimasta sopra fino al 30 dicembre. Nell’ultimo giorno di navigazione ci hanno fatto di nuovo salire tutti perché eravamo in acque italiane e non c’erano pericoli di essere intercettati. E ci hanno ridato i cellulari. Il 31 dicembre alle 11 di mattino siamo arrivati a Crotone”.

Maysoon ha spiegato che i soldi che le sono stati trovati addosso, 150 euro, erano suoi personali e che aveva pagato il viaggio alla partenza. “Tutti i passeggeri, 77 persone, hanno ricevuto i cellulari e i soldi. La mia minaccia di denuncia probabilmente ha dato agli altri una immagine distorta di me e per questo hanno pensato che dovessi essere incolpata”.

Nel corso dell’udienza il difensore di Maysoon, l’avvocato Giancarlo Liberati, ha presentato una istanza per la modifica della misura cautelare chiedendo che la ragazza, che il 29 luglio compirà 28 anni, potesse uscire dal carcere ed essere posta ai domiciliari. Solo che l’avvocato, come ha fatto notare il pm, ha consegnato al tribunale la stessa identica istanza che era stata rigettata dal gip a maggio. Non ha aggiunto una virgola in più. Per cui l’esito era scontato. A quel punto, dopo aver sentito il giudice negarle i domiciliari, Maysoon, piangendo, ha chiesto al Tribunale di poter mostrare due foto che, a suo dire la scagionerebbero. Immagini, già presenti nel fascicolo processuale tratte da un video su instagram di uno dei migranti. Maysoon ha mostrato la foto dove si vedono lei ed il fratello sottocoperta e un’altra che riprende una donna vicino al capitano (arrestato anche lui, reoconfesso ed ha anche detto che Maysoon non c’entra nulla): “Questa è quella che mi ha preso il cellulare. Mi si incolpa di essere una scafista ma si vede che la persona vicina al capitano è un’altra. Io e mio fratello eravamo sotto e ci vediamo nel video. Perché credete alle parole di due persone e non alle mie?”. Poi prima di tornare in carcere, alzandosi ha pronunciato in modo ironico: “Democracy…”. Il Tribunale ha fissato altre quattro udienze: il processo dovrebbe concludersi a novembre.

Maysoon Majidi,  attrice e regista curda iraniana di 27 anni, attivista per i diritti delle donne in Iran, è fuggita dal suo Paese perché perseguitata dal regime ultraconservatore degli ayatollah. Più volte, è scesa in piazza anche dopo il brutale omicidio di Mahsa Amini e temeva di finire in carcere.
In Iran le donne curde subiscono una doppia oppressione, in quanto curde e in quanto donne. Sono perseguitate dall’autorità morale iraniana e non di rado vengono uccise. Per questo, dopo essere passata da un campo profughi in Iraq era scappata in Turchia temendo di essere estradata in Iran.
A dicembre è partita imbarcandosi da Izmir ed arrivando in Calabria alla vigilia di Capodanno dove è stata arrestata per favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
La giovane regista ed attrice curda ha sempre rigettato le accuse mosse sulla base di solo due testimonianze dei 77 migranti che erano a bordo dell’imbarcazione approdata a Gabella il 31 dicembre 2023.
Maysoon, secondo quello che si legge negli interrogatori  dei due testimoni sarebbe stata definita aiutante del capitano perché portava l’acqua agli altri migranti. Testimonianze sulle quali ci sono molti punti da chiarire perché successivamente i testimoni avrebbero sostenuto di non aver mai accusato Maysoon. Esistono dubbi sulla traduzione dell’interrogatorio che è stata eseguita da un afgano, mentre i testimoni sono un iraniano ed un iracheno e parlano una lingua diversa.
Naturalmente non ci sono registrazioni audio o video delle testimonianze raccolte dalla Guardia di finanza.
La vicenda poteva essere chiarita attraverso l’incidente probatorio che, però, è stato fatto quasi cinque mesi dopo i fatti. Nel frattempo i testimoni sono andati via dall’Italia e si trovano in Inghilterra e Germania dove, però, le autorità italiane – nonostante i mezzi a loro disposizione – non li hanno inspiegabilmente trovati. Per questo l’incidente probatorio è stato chiuso con un nulla di fatto e Maysoon è rimasta in carcere.
Curiosamente, i testimoni li hanno trovati sia l’avvocato Giancarlo Liberati, difensore di Maysoon che i giornalisti delle Iene che hanno raccolto e registrato le loro dichiarazioni nelle quali smentiscono chiaramente che Maysoon fosse una scafista e lanciano anche accuse su chi li ha interrogati.

A sostegno di Maysoon fuori dal tribunale il comitato Maysoon libera ha organizzato un sit in durato per tutto il tempo dell’udienza. Il comitato ha espresso critiche all’operato del difensore di Maysoon.