Il processo

Naufragio Cutro, il fratello dell’imputato: non è scafista, il viaggio lo abbiamo pagato noi

Nell'udienza del 10 settembre sono stati ascoltati due testimoni chiamati dalla difesa dei pakistani accusati di naufragio colposo

processo naufragio Cutro

CROTONE – “Non vorrei che ad essere superflua fosse la difesa”. Le parole dell’avvocato Salvatore Perri risuonano nell’aula del Tribunale di Crotone dove si sta celebrando il processo contro tre dei presunti scafisti del caicco Summer love il cui naufragio avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023 ha causato 94 morti: Sami Fuat, turco di 51 anni, Khalid Arslan, di 26 anni, e Hasab Hussain, di 23 anni entrambi pakistani, tutti accusati di naufragio colposo, favoreggiamento all’immigrazione clandestina e morte in conseguenza di altro reato.
Lo sfogo del difensore dei due pakistani arriva in risposta al rifiuto da parte del presidente del collegio, il giudice Edoardo D’Ambrosio, di ammettere al dibattimento la visione di un video da mostrare ad uno dei testimoni della difesa: “Mi è stata contestata la richiesta di far leggere gli orari delle chat del testimone mentre si è permesso al pm di chiedere allo stesso testimone quanto lui aveva pagato il viaggio per arrivare in Italia nel 2021, una cosa che non è oggetto del processo. Non vorrei che ad essere superflua fosse la difesa” ha sbottato il legale lasciando intendere che il processo sia già deciso.

Messaggi Vocali

L’udienza del processo è iniziata con il solito inghippo dell’assenza di interpreti di lingua turca che ha causato lo stralcio temporaneo della posizione per Sami Fuat e fatto rinviare la testimonianza di Gun Ufuk, il turco già condannato a 20 anni di carcere per il naufragio di Cutro nel processo con rito abbreviato .
Al banco dei testimoni è salito Ahtisam Khalid, fratello dell’imputato Arslan Khalid, che ha raccontato di essere in Italia dal 2021 e di lavorare, con regolare permesso di soggiorno, come aiuto cuoco ad Ancona. “Con mio fratello avevamo fatto due tentativi di arrivare in Italia dal 2017. Nel 2021 io c’ero riuscito perché l’auto sulla quale mi trovavo ha superato il posto di controllo alla frontiera, mentre mio fratello è stato fermato”
Il testimone ha evidenziato che “mio padre per pagare il viaggio di mio fratello ha chiesto un prestito a mio zio”. Quindi, l’avvocato Perri ha mostrato al Tribunale uno screenshoot di una chat con dei messaggi vocali che ha poi fatto ascoltare. Khalid ha riconosciuto la voce del fratello e spiegato che quelli erano i messaggi che Arslan aveva inviato al papà dalla barca: “Papà sono in Italia sano e salvo potete sbloccare i soldi”. Messaggi che riportano come data quella del 26 febbraio 2023 ricevuti alle 5.53 orario del Pakistan che è quattro ore più avanti di quello italiano. Significa che quei messaggi erano stati inviati poche ore prima del naufragio e che, secondo la difesa, confermano che Arslan Khalid era un passeggero e non uno scafista.
Il fratello dell’imputato ha poi consegnato al Tribunale anche la stampa del profilo facebook del trafficante a cui la sua famiglia aveva fatto riferimento per organizzare il viaggio dalla Turchia.
Rigettata la richiesta del pm, Pasquale Festa, di sentire il padre di Khalid Arslan.

Non fare l’interprete

Il secondo testimone – per la difesa di Hasab – è stato Khan Imran amico dell’imputato con il quale ha vissuto in Turchia per un anno e mezzo. Khan Imran, giunto su un barcone il 28 agosto 2022 a Crotone ed attualmente ospite del centro di accoglienza di Lamezia, ha raccontato che Hasab aveva provato più volte a partire per l’Italia ma, oltre ad essere stato fermato dalle autorità turche, aveva poi avuto problemi con soldi ed una ferita al piede.
“Siamo grandi amici e sapevo cosa gli accadeva. – ha detto Imram -. Anche quando io ero in Italia lo sentivo. Doveva venire dove stavo io. Quando stava per partire a febbraio gli ho mandato 100 euro per aiutarlo ad affrontare viaggio e per fare spesa. Hasab – ha sottolineato Imran – non ha mai fatto da tramite per me con i trafficanti. Ha parlato mia famiglia con i trafficanti. Lui voleva stare in Italia e raggiungere me a Lamezia Terme. Io ho parlato con il direttore del centro accoglienza per farlo venire lì una volta che fosse giunto in Italia. Abbiamo parlato prima che affondasse barca tramite vocali whatsapp”.
Khan Imran ha poi rivelato: “Gli avevo detto di non fare da interprete tra i capitani ed i passeggeri perché avevo visto in Italia che li arrestavano”.