Intervista

Vittorio Feltri: ‘mi sono rotto le palle a viaggiare, il mondo è l’Italia’

Quattro chiacchiere con il direttore editoriale del Giornale a casa sua nel centro di Milano con capicollo, soppressata, pecorino e vino Cirò

Generico settembre 2024

MILANO – Sul cellulare, rientrando dalla spiaggia, trovare tra le chiamate perse quella di Vittorio Feltri, un minimo di agitazione la fa venire. Qualche giorno prima l’avevo contattato tramite messaggi per chiedere un’intervista. Aveva ragione chi mi ha assicurato che sarebbe stato disponibile. Riusciamo finalmente a sentirci e concordiamo di vederci alla sede del Giornale (“Vado volentieri in redazione, faccio il direttore editoriale, ma lavoro pure da casa”). Successivamente l’incontro sarà a casa sua, un immobile singolo in una zona centrale di Milano. Mi presento al suo cospetto con un presente tipico calabrese: capicollo, soppressata, pecorino e vino Cirò, che apprezza visibilmente, accogliendomi con la moglie Enoe Bonfanti sposata in seconde nozze. Non ricordo perché, ma è il mio giornalista di riferimento dal 1989, quando ha assunto la direzione dell’Europeo (“neppure il tempo di entrare che la redazione mi ha fatto due mesi di sciopero!”), ancora di più quella dell’Indipendente e successivamente con la fondazione di Libero. Cordiale e amichevole, piuttosto laconico nelle risposte, neppure per un istante ha abbandonato le sigarette sottili che ha fumato praticamente senza interruzione.

Direttore, crisi della stampa su carta o dell’informazione?
“Della carta stampata, che si riflette sull’informazione, da almeno un decennio. Per gran parte, la responsabilità è della disponibilità gratuita e costante di notizie sui siti, e se non bastasse il telefonino aggiungiamo i ripetuti e ammorbanti dibattiti televisivi, e alla fine la gente se ne fotte di acquistare i giornali. Che peraltro sono peggiorati, cercano la polemica, sono schierati; è sempre stato così, ma ora esagerano. E se i giornali non si vendono c’è poco denaro per fare informazione. Io sono l’unico a guadagnare tanto…”.

Di mestiere giornalista.
“Sono rimasto orfano di padre da bambino e mia madre era costretta a stare intere giornate fuori casa per lavorare. Stavo con zia Tina che leggeva i giornali, e mi ha insegnato prestissimo a scrivere ed a leggere, ed ho scoperto che mi sarebbe piaciuto fare il giornalista. Ci sono riuscito, riconosco senza troppa fatica”.

Cronista, editorialista, direttore.
“Soprattutto inviato: giravo il mondo ad appena trent’anni mi tenevano in grande considerazione. Avevo la possibilità di stare vicino a grandi giornalisti, dai quali c’era tanto da imparare; adesso non ce ne sono più e nessuno impara”.

Montanelli, il miglior giornalista italiano.
“Sì, la sua capacità di scrittura è inarrivabile”.

Tra le tante direzioni, il rimpianto di quella mancata al Corriere della sera.
“Ci sono stato vicino. Mi è dispiaciuto, il Corsera è il quotidiano più importante d’Italia, ma non ci penso più”.

Lasciato il Giornale la prima volta, arrivata la direzione del Borghese: non è stato un momento brillante.
“Non riuscivo a stare senza una struttura di supporto, e il Borghese me l’ha messa a disposizione. Pochi mesi dopo sono andato a dirigere il Quotidiano nazionale, forse l’unico di proprietà di un editore quasi puro”.

Non mancano sui giornali polemiche e scaramucce tra giornalisti.
“E’ normale. Per quanto mi riguarda, ho pochi rapporti con i colleghi, però sono molto rispettato”.

Suo malgrado, ha abbandonato la macchina da scrivere per i suoi articoli.
“Da anni, per forza, ormai non c’è nessuno che li copi, né i correttori di bozze”.

Spesso ostenta il suo benessere economico.
“Averlo significa non avere bisogno. Un minimo di provocazione c’è, ovvio. Mi danno fastidio quelli che piangono miseria, ma che rimangono insensibili davanti a quella vera per esempio dei bimbi poveri. Ed io mi ricordo bene di quando ero bambino! Spesso mi hanno chiesto dei prestiti, ma non mi sono stati restituiti. Ed allora preferisco regalare direttamente una cifra inferiore così ci guadagno pure…”.

Né di destra né di sinistra, ma liberale.
“A Bergamo, dove erano tutti democristiani, da giovane per reazione al tempo di Nenni mi sono iscritto al Partito socialista; poi ho capito che la sinistra è infarcita di conformismo. Mi sento vicino alla mentalità liberale, che non è un ideale”.

Un tempo, gli uomini politici avevano ben altro spessore.
“Luogo comune, erano solo più acculturati; ma la decadenza c’è sempre stata. E la gente non vota perché la politica è noiosa e ripetitiva”.

Antipatia verso i sindacati e pure i giudici.
“I sindacati hanno sempre pensato a fare politica invece di tutelare i lavoratori, I magistrati hanno esagerato perché il potere giudiziario prevale sugli altri e spesso hanno avuto un’influenza politica”.

Mai in politica, e invece…
“Ho fatto un piacere a Giorgia Meloni, che mi è simpatica e ritengo che stia ben governando, e sono stato eletto. Ma sia al Consiglio comunale di Milano che a quello regionale lombardo mi sono rotto il cazzo ché non servono a nulla”.

Napoleone Bonaparte è un personaggio che conosce bene. Come sarebbe cambiata l’Europa, e l’Italia, se non avesse perso a Waterloo?
“Non lo so. Non ho mai fatto l’indovino”.

L’intelligenza artificiale.
“E’ una fregatura. Può essere utile per velocizzare la possibilità di avere informazioni; ma non mi piace che possa essere usata per replicare le cose fatte da una persona”.

L’adolescenza ha condizionato in negativo la sua visione della vita; il recente tumore le ha fatto cambiare il punto di vista.
“Andavo ancora alla scuola media quando sono stato costretto ad andare a lavorare, prima come fattorino, poi come commesso in un negozio, infine vetrinista, dove guadagnavo tanto denaro perché ci sapevo fare. Ma se a quell’età sei costretto a lavorare, come fai ad essere felice?! Certamente sono contento di essere invecchiato, e aspetto serenamente il momento di arrivare…”.

Vorrebbe morire fucilato.
“E’ un modo di dire, vorrei che avvenisse in maniera rapida e non infermo in un letto”.

Non ama viaggiare.
“Mi sono rotto le palle di farlo. Per anni sono andato in giro per il mondo e ogni volta che rientravo mi rendevo conto che il mondo era l’Italia. Di certo il peggio sono gli Stati Uniti, da sempre guerrafondai dappertutto”.

Quanto è spontaneo e quanto invece forza i toni.
“Non recito. Magari mi provocano e non piace se dico quello che penso”.

Convinca che non è razzista.
“Non devo convincere nessuno perché non lo sono. Cosa c’è di male riferirsi ad una casalinga di Catanzaro oppure di Voghera?”.

L’imitazione di Crozza.
“E’ davvero divertente, anche se non lo trovo così simile (possibile non essere d’accordo?… nda)”.

E’ amante degli animali.
“Sono meglio delle persone. Oltre ai cavalli, mi piacciono soprattutto i gatti, ma ne ho posseduti tanti”.

Il libro a cui è più legato.
“Le notti bianche di Dostoevskij, che ha influito sul mio modo di pensare”.

Ci sarebbero state altre cose da chiedere al Direttore, a cominciare dal suo interesse per il calcio, “L’ho praticato per molto tempo”, ma ad interromperci è arrivata la scorta…
“Ce l’ho dall’attentato delle Torri gemelli. Ormai mi sono abituato”.